LA VITTORIA DI PIRRO ?

17072020 Autostrade

LA VITTORIA DI PIRRO  ?

Diciamo subito e chiariamo che urlare vittoria con lo scalpo tra le mani dei Benetton è più che una balla, anzi è proprio una ” bufala moderna a 5 stelle”. Ad oggi non è stato scritto nulla, tutto è in alto mare …  i contenuti di questa “stravagante iniziativa finanziaria” finalizzata a coinvolgere Cdp è … semplicemente merce per i dilettanti, troppe incognite da qui a 5 anni quando Cdp deve uscirne perché obbligata e che succederà dopo ? Chi subentrerà a Cdp ?  E chi paga i Benetton per il “loro scalpo e loro cacciata” ? E quanto ci dobbiamo rimettere in termini di miliardi di euro in questo affare noi italiani ? Ho l’impressione che sia un’Alitalia 2, tanti soldi degli italiani in tanti  per ritrovarci una compagnia sempre lacunosa e alla disperazione finanziaria. Ma non sarebbe stato meglio revocare le concessioni per gravi colpe e rifare una nuova gara per le concessioni ?  Concluderei con una battuta : solite cose di ignoranti ! 16072020 …by…manliominicucci.myblog.it

[Il caso] Alla fine lo Stato ricompra Autostrade. Tutti i non-detti del presunto affaire. I ministri Pd: “Non ne possiamo più”

17072020 Autostrade

Bellanova (Iv): “Potevamo fare assai meglio e prima”. Nuove tensioni in maggioranza: le accuse a Casalino e al Fatto quotidiano; salta l’accordo sulle Commissioni.  E anche sulla legge elettorale. Torna la parola “rimpasto”. A settembre

 

di Claudia Fusani

Il giorno della presunta “vittoria” è quello dove si continua a fare dispetti e a mettere dita negli occhi dell’alleato. Tanto che a sera Di Maio e Zingaretti decidono di lanciare l’appello. “Chi lavora per la crisi di governo non vuole bene al Paese” si raccomanda il leader pentastellato alla fine di giornate epiche che lo hanno visto protagonista nel doppio ruolo di picconatore e sostenitore del Conte 2.” Ora serve stabilità anche alla luce della vulnerabilità dei mercati in estate. Adesso pensiamo a famiglie, imprese, disoccupati” si è raccomandato. Pochi minuti e il segretario dem Zingaretti lancia il suo messaggio: “Cari 5 Stelle, su tanti dossier abbiano idee diverse ma si sta al governo da alleati e non da avversari”.

Una vittoria per nessuno

Per essere il giorno dei festeggiamenti e della leggerezza per il “problema risolto”, lo stato di salute della maggioranza è sempre più acciaccato. La “soluzione” per Autostrade non è una vittoria. Lo sa bene il Pd, lo dice Italia Viva (il ministro Bellanova: “E’ evidente a tutti che si poteva fare assai meglio e molto prima”). Lo sanno anche i 5 Stelle nonostante gli evviva e le iperbole con lo scalpo dei Benetton in mano sventolato su tutte le tv e i canali social. Chissà come si devono sentire gli imprenditori in questo momento: alla guida di Aspi c’erano i manager (di cui nessuno parla), la famiglia può essere accusata di omesso controllo e scarsa etica d’impresa, ma da qui ad essere appesa a testa in giù nella pubblica piazza dopo un “quasi” esproprio, ce ne corre. Senza contare gli scossoni in borsa negli ultimi due anni. L’accanimento contro gli interessi privati e la libera impresa è un precedente pericoloso di queste ore che dà dell’Italia una pesima immagine all’estero. Un altro prodotto del populismo.

United dem… la provocazione

In una situazione oggettivamente complicata ci si mette pure il capo della comunicazione di palazzo Chigi Rocco Casalino che distribuisce slogan, fa fare interviste a mercati aperti contro i Benetton esponendo Conte ad inchieste per aggiotaggio e sussurra prime pagine con quattro dem di razza come Delrio, Orlando, De Micheli e Guerini tipo moschettieri “united dem of Benetton”. Nella notte più lunga a palazzo Chigi, tra martedì e mercoledì, persino un diplomatico come il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha detto a Conte: “Ora basta”. Il livello di sopportazione nelle fila Pd è ai minimi termini. Dispetti e veleni anche per decidere le presidenze delle Commissioni parlamentari giunte al giro di boa dei due anni e mezzo e dove devono essere sostituiti quattordici presidenze leghiste. Partita che doveva essere chiusa ieri e invece è stata rinviata. Entro luglio. Forse la prossima settimana. Magari dopo il voto sullo scostamento di bilancio (il terzo, previsto il 22 luglio) per cui servono 161 voti ed è sempre meglio un’arma di persuasione di massa.

Celodurismo sulla legge elettorale

Come se non bastasse, ieri sera è stato appiccato un altro falò. L’ordine è arrivato direttamente dal Nazareno e recapitato in Commissione Affari costituzionali alla Camera alle prese con la legge elettorale: “Andare avanti con la votazione”. Ma andare avanti vuol dire certificare la spaccatura nella maggioranza. E la compattezza nelle opposizioni. Pd e M5s vogliono il proporzionale con sbarramento a 5%. Italia Viva non ci sta: a Renzi piace più il maggioritario in nome della chiarezza. Leu neppure: lo sbarramento al 5 è improponibile. Forza Italia è indecisa e mettere fretta significa perderla e consegnarla alle opposizioni tutte a favore di un maggioritario corretto.  Un bel rinvio del voto in Commissione avrebbe dato tempo, magai per portare Fi dalla parte del Pd. Ma l’ordine è stato chiaro: votare subito e dimostrare che Pd e M5s possono essere autosufficienti.

Il risiko delle Commissioni

Il celodurismo sulla legge elettorale è figlio di questi giorni difficili per le forze di coalizioni. Anche le presidenze di Commissione sono tornate in alto mare a un passo dalla chiusura sofferta e complicata. “Veramente rinviate le commissioni?” chiedeva tra l’allarmato e il rassegnato ieri mattina Renata Polverini, Forza Italia, tra le più attente a misurare lo stato di salute della maggioranza.  Non ci sono dubbi che tenere aperta questa partita è come tenere il Conte 2 su un ottovolante arrugginito e cigolante. L’accordo di massima era stato raggiunto: sono 14 commissioni al Senato e 14 alla Camera, i 5 stelle ne presiedono già sette in entrambi i rami del Parlamento; al Pd sono state assegnate 5 presidenze alla Camera e 4 al Senato, a Italia Viva due in entrambi i rami, uno a Leu al Senato (Piero Grasso, commissione Giustizia).

Troppi mal di pancia, meglio rinviare

Una colazione ieri mattina in piazza di Pietra tra il capogruppo Marcucci (Pd) e Perilli (M5s) finita quasi in rissa ha fatto tornare tutto in alto mare. Scambio di accuse (“il Pd chiede troppo”), strascico di veleni (“i 5 Stelle ancora non hanno capito”), la famosa e auspicata alleanza strutturale alle regionali che ha prodotto, su sei regioni, l’accordo su Emiliano in Puglia e su Sansa in Liguria (Pd molto diviso): i motivi dello stop sono tanti. A cominciare dal fatto che dento gli stessi partiti a volte manca l’accordo. E che pure per Italia Viva le ose non sono così semplici. C’è il duello interno al Pd tra Fassino e Quartapelle  per la presidenza della Commissione Esteri alla Camera. Al Senato dovrebbe andare Roberta Pinotti (Pd): il patto è non fare ombra al ministro degli Esteri Di Maio. Luigi Marattin (Iv)  avrebbe conquistato la Finanza (sarebbe stato meglio la Bilancio) alla Camera ma i 5 Stelle non lo vogliono e così potrebbe passare con i voti di Forza Italia (sempre più frequente il fraseggio Marattin-Brunetta). La competente Raffaella Paita (Iv) sarebbe assegnata ai Trasporti alla Camera ma il Pd fa resistenza per mettere uno dei suoi. Il socialista Riccardo Nencini, che a Italia viva ha dato il simbolo per fare il gruppo al Senato, è fermo sulla Commissione Cultura.  Così come il Pd ha chiuso la porta in faccia ad Italia viva che voleva guidare almeno una della commissioni Giustizia. In alternativa Italia viva ha chiesto la Lavoro. “Neanche per idea”  ha fatto sapere la ministra Catalfo (M5s).  “Per poter difendere il decreto Dignità e non aprire un varco sul jobs act” sibilava ieri una senatrice 5 Stelle. Un’altra incognita riguarda la presidenza della Bilancio alla Camera. Il Pd ha indicato Melilli. Che però non avrebbe tuto questo seguito. Ed ecco che ieri si era diffusa voce che qualche mal di pancia tra i 5 Stelle avrebbe potuto tirare lo scherzo di confermare il leghista Borghi.

E torna l’ipotesi rimpasto

Sarebbe clamoroso. Troppe incertezze, troppi rischi, meglio rinviare. Ma può essere questa una coalizione? E così torna insistente il tema del rimpasto. Sono sempre tre la caselle a rischio, Catalfo (Lavoro), Istruzione (Azzolina) e Mit.  Paola De Micheli è stata accusata da Conte di aver fatto uscire la lettera di marzo con cui bocciava la revoca della concessione e rivelava il prezzo del risarcimento, oltre venti miliardi. Al di là di chi è stato, quella lettera è stato un colpo forte ai sostenitori della revoca. Accadrà a settembre, una volta che saranno a terra i risultati elettorali. Le sei regioni al voto sono quattro a guida Pd e due (Liguria e Veneto) al centrodestra. Se finisce 3 pari, cioè il Pd ne perde solo una (la coalizione è salva). Altrimenti salta il banco. A questo va aggiunto che il dossier Autostrade ha veramente sfibrato la maggioranza. “Non ne possiamo più” è stata la frase più ripetuta dai ministri Pd nella notte del Consiglio dei ministri. La grancassa di ieri dei 5 Stelle –  “abbiamo vinto”, “cacciati i poteri forti”, “promessa mantenuta”, “fuori i Benetton dallo stato”, “presi a schiaffi i Benetton”  – sommata a quella prima pagina velenosa del Fatto quotidiano ha trasformato la giornata della vittoria in quella più nera peri Conte 2. Non è un caso che ieri pomeriggio il Presidente del Consiglio abbia voluto “passeggiare” da Chigi al Senato fianco a fianco di due ministri dem, il titolare del Mef Gualtieri, figura chiave nella trattativa con Aspi, e degli Affari Europei Amendola. Conte ha provato Conte a smussare i toni enfatici del Movimento: “Non mi interessano gli slogan”. E ha cercato soprattutto di spengere il fuoco. “La tensioni sono state solo con Aspi, non alteriamo il quadro della realtà”. La realtà è che lo Stato ha comparato Autostrade dai Benetton.

Luci e ombre di un accordo che ancora non c’è

La verità è che sul “bye bye Benetton” e “le  Autostrade tornano allo Stato” c’è ancora molta poca chiarezza. Cerchiamo di mettere in fila i fatti. Non c’è ancora un accordo scritto, solo comunicati stampa. Ma i dettagli in queste circostanze sono importanti.  Non a caso la ministra De Micheli auspica un “accordo chiaro e trasparente nei prossimi giorni”. E non a caso il viceministro Cancelleri ieri sera è tonato a palare di “revoca ancora sul tavolo”. Non c’è stata la revoca, parola chiave di questi giorni e mesi. Ci sarà invece un’operazione di mercato dove lo Stato dovrà comunque sborsare molti soldi, sull’ordine di una decina di miliardi ma forse non bastano. Atlantia, il colosso mondiale nel gestione delle infrastrutture, autostrade ma anche aeroporti,  non sarà ovviamente toccata da questa trattativa: il fondo Sintonia, proprietà dei Benetton, continuerà ad avere il 30,25 %, la maggioranza relativa. Atlantia  gestisce anche aeroporti di Roma e lo Stato, dopo aver trattato con loro per Alitalia, ha appena rinnovato ed esteso le concessioni fino al 2030. Dunque i Benetton  continuano a fare business legittimo con asset importanti dello Stato.

I costi dell’operazione Cdp

Cambia invece, e parecchio,  la situazione in Aspi (Autostrade per l’Italia, gestore di tremila km di rete) controllata all’88 per cento da Atlantia. Entro il 27 luglio viene avviata una procedura di cessione di quel pacchetto per cui, dice il ministro Patuanelli, “a settembre i Benetton saranno già in minoranza e del tutto fuori nell’arco di un anno”. E’ questo lo scalpo dei 5 Stelle. Attenzione però:  non è del tutto chiaro se la cessione dell’88% di Aspi avverrà tutta con un aumento di capitale o con la vendita diretta a Cdp. Si parla genericamente di “due percorsi societari alternativi”. La cosa certa è che Aspi sarà quotata in borsa e avrà un socio di maggioranza  (al 51% ) che è Cdp. Restano in piedi molte domande. Quanto dovrà pagare Cdp per il 51 % di Aspi? Non dovrebbe pagarli ai Benetton perché lo strumento è quello dell’aumento di capitale. Però Cdp, che gestisce i depositi postali degli italiani, dovrà sborsare parecchi miliardi. Almeno una decina. Soldi, sia chiaro, dei correntisti italiani. Benetton dunque uscirà ma certamente non gratis. E’ previsto anche che conservi una quota di Aspi tra il 10 e il 12 per cento. E’ il mercato bellezza, e senza una sentenza che li inibisca, la famiglia Benetton resta sul mercato. Neppure i 5 Stelle possono farci nulla.

Tra i punti dell’accordo Aspi ha confermato i 3,4 miliardi di risarcimenti (opere accessorie, diminuzione pedaggi, manutenzione). Da quel che si capisce saranno in collo alla nuova Aspi. Dunque a Cdp? E che succede quando Cdp, secondo statuto, entro cinque anni dovrà liberarsi della maggioranza di Aspi? Troppe domande per cantare vittoria. Se n’è accorto persino Conte.

16 luglio 2020

LA VITTORIA DI PIRRO ?ultima modifica: 2020-07-16T16:33:46+02:00da manlio22ldc
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