MA È PROPRIO COMPLICATO CAPIRLO..!
Caro Santo padre, è giusto, anzi più che giusto e doveroso predicare la solidarietà tra le genti e i poveri indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza e dalle religioni a cui si appartiene. Son d’accordo anche che la ricchezza materiale non può e non deve essere paragonata né assimilata a quella spirituale, sono due argomenti ben distinti e direi diversi, però le devo confessare che per me essere spiritualmente legati ad una fede non significa dover interrompere il proprio percorso di vita sociale, perché se si seguisse solo quello spirituale, le banche non pagherebbero il mutuo, i commercianti non ti venderebbero le loro merci, il benzinaio non ti venderebbe il carburante e il farmacista non ti darebbe le medicine per curarti il corpo. Ora, caro Santo padre, cito questi spaccati di vita, a lei sicuramente ignoti, perché questa è la vita di tutti noi, bianchi e neri o gialli, di ogni santo giorno e non possiamo non considerare solo la ricchezza spirituale per andare avanti, quindi come emerge dal logico ragionamento non ci siamo, bisogna che si riveda un po’ tutto il discorso, sinceramente fa un po’ d’acqua. Altro punto, lei dice che tutti quelli che credono in Dio sono fratelli, giusto, io considero mio fratello un ebreo, un buddista o uno scintoista, un mormone e un ortodosso, e li considero tali perché in ognuna delle citate religione nessuna osa mai parlare della mia morte come credente e fedele di Cristo, né mi offende insultandomi come cane ” infedele”, oppure minacciano di morte coloro i quali decidono di abbandonare una particolare religione che purtroppo avviene in quella islamica. C’è qualcosa che non funziona evidentemente in quella religione e allora perché insiste nel convincermi ad amare e rispettare chi vuole il taglio della mia gola ? Evidentemente caro Santo padre qualcuno sbaglia, o lei nell’affermare che quella è una religione o sbaglio io nel sostenere che è una setta.
Magari sarebbe bello avere da lei un chiarimento. Comunque sia, si conceda un prolungato riposo e di riflessione perché le cose che dice non quadrano. La saluto e buon Santo Stefano…26122018
…by… manliominicucci.myblog.it
SAN PIETRO
Messa della notte di Natale, il Papa: «Ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore»
L’omelia nella Basilica di San Pietro: «Non divorare e accaparrare, ma condividere e donare

L’omelia di Natale di Papa Bergoglio, la messa in San Pietro
Nella notte di Natale, il Papa riflette su quella svolta della storia. «Betlemme: il nome significa “casa del pane”. In questa “casa” il Signore dà oggi appuntamento all’umanità. Egli sa che abbiamo bisogno di cibo per vivere. Ma sa anche che i nutrimenti del mondo non saziano il cuore». Nella Scrittura, ricorda, il peccato originale è associato al frutto proibito, al prendere cibo: «Prese e mangiò. L’uomo è diventato avido e vorace. Avere, riempirsi di cose pare a tanti il senso della vita. Un’insaziabile ingordigia attraversa la storia umana, fino ai paradossi di oggi, quando pochi banchettano lautamente e troppi non hanno pane per vivere». Nella «casa del pane», invece, «Dio nasce in una mangiatoia, come a dirci: eccomi a voi, come vostro cibo. Non prende, offre da mangiare; non dà qualcosa, ma se stesso». Così «il corpicino del Bambino di Betlemme lancia un nuovo modello di vita: non divorare e accaparrare, ma condividere e donare», argomenta Francesco. «Dio si fa piccolo per essere nostro cibo. Nutrendoci di Lui, Pane di vita, possiamo rinascere nell’amore e spezzare la spirale dell’avidità e dell’ingordigia. Dalla “casa del pane”, Gesù riporta l’uomo a casa, perché diventi familiare del suo Dio e fratello del suo prossimo». Davanti alla mangiatoia, insomma, «capiamo che ad alimentare la vita non sono i beni, ma l’amore; non la voracità, ma la carità; non l’abbondanza da ostentare, ma la semplicità da custodire
A Betlemme, «Se la accogliamo, la storia cambia a partire da ciascuno di noi», prosegue il pontefice: « Chiamati stanotte a salire a Betlemme, casa del pane, chiediamoci: qual è il cibo della mia vita, di cui non posso fare a meno? Poi, entrando nella grotta, scorgendo nella tenera povertà del Bambino una nuova fragranza di vita, quella della semplicità, chiediamoci: ho davvero bisogno di molte cose, di ricette complicate per vivere? Chiediamoci: a Natale spezzo il mio pane con chi ne è privo?» Betlemme, infine, «è il rimedio alla paura, perché nonostante i “no” dell’uomo, lì Dio dice per sempre “sì”: per sempre sarà Dio-con- noi. E perché la sua presenza non incuta timore, si fa tenero bambino».
Nella notte di Natale i pastori vegliano: «La nostra vita può essere un’attesa, che anche nelle notti dei problemi si affida al Signore e lo desidera; allora riceverà la sua luce. Oppure una pretesa, dove contano solo le proprie forze e i propri mezzi; ma in questo caso il cuore rimane chiuso alla luce di Dio». Ma non è un’attesa inerte, conclude il Papa: «Il Signore ama essere atteso e non lo si può attendere sul divano, dormendo. I pastori si muovono: “andarono senza indugio”. Stanotte siamo chiamati a rispondere, a dirgli anche noi: “Ti amo”. La risposta di ciascuno è essenziale per il gregge intero».