100 MILIONI AL MESE !

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100 MILIONI AL MESE !

L’anno è il 1993, la località è Marne-la—vallèe, situata a 32km dalla città di Parigi, io e ed alcuni parenti ci troviamo in Francia in veste di turisti girovaghi e anche per vistare il tanto decantato primo parco giochi d’Europa della Disney che attirava oltre la curiosità di stampa e addetti ai lavori anche milioni di turisti che nei fatti diventano milioni di persone che portano alle casse del parco milioni di Franchi e soldi alla Francia. Uno scenario da sogno, hotel, ristoranti, negozi, bar in un numero cospicuo e tante attrazioni, giochi e divertimenti vari e in più… già in più… cosa di rilevante importanza, almeno lo era e lo è per me, un ambiente non malsano e “aria decisamente pulita  e respirabile”. Di pari passo, in quegli anni, nella città di Taranto si lottava aspramente perché la cittadinanza, quella non coinvolta nella produzione di acciaio del locale stabilimento siderurgico che produceva tumori in quantità industriale e pari alle tonnellate di acciaio che sfornava quotidianamente, si lagnava e protestava perché pretendeva un’aria respirabile e un ambiente ecologico e la protezione della salute… lo si voleva già dagli anni ’80 … molto prima che nascesse Greta Thunberg. La città era ed è ancora oggi spettatrice e vittima inerme della obbligata produzione industriale a tutti i costi … pena la fame per i 20.000 lavoratori di allora, alternativa in voga ancora oggi, dopo ben 27 anni di bassa e volgare politica industriale italiana fatta all’insegna del menefreghismo ecologico e della salute dei cittadini… uno sputo in faccia alla città di Taranto ! Le continue proteste in quegli anni mi vedevano in prima posizione nella lotta all’inquinamento atmosferico provocato dalla vecchia Italsider poi diventata ILVA, e una mia proposta a quel tempo, fece ridere tanta gente… un’idea esposta nei fatti in modo concreto che risolveva definitivamente e per  sempre il problema occupazionale e soprattutto si conciliava con l’ambiente mettendo fine a quello stillicidio di morti per le varie neoplasie. L’dea era semplice, siamo nel 1993 ricordo a tutti, quella di smantellare l’Italsider e costruirci un parco giochi in stile Disneyland Paris, un complesso turistico che potesse ospitare milioni di turisti ogni anno dal primo di marzo sino al 31 di gennaio e lasciando il mese di febbraio per la manutenzione, tempistica possibile per via delle favorevoli condizioni climatiche. E’ ovvio che ai politici e ai sindacati italiani questo non poteva andar bene altrimenti come si può strumentalizzare l’operaio e la classe dei lavoratori e rischiare di non avere più i soldoni delle trattenute sindacali obbligatorie in busta paga ?  Ignorato e deriso… ma nel 2020, io conto… tanti ma tanti malati e morti di cancro nella città jonica, uno stabilimento che da anni è una spugna che assorbe denaro pubblico e un colabrodo per tutto il denaro che si è sprecato. Andiamo all’oggi, la notizia è che lo stabilimento diventa in parte statale e ci costa, a noi italiani, cento milioni di euro al mese per stipendiare e dar lavoro a 10.700 lavoratori. Bene, ma nessuno evidentemente sa far bene i conti perché se noi magari versassimo ad ognuno dei 10.700 operai dell’Arcelor Mittal un mensile di € 1.500,00 a cranio e li facciamo restare a casa oppure magari li impieghiamo per lavori diversi socialmente utili o, come io penso, impiegarli proprio per la costruzione stessa della struttura… risparmiamo ogni anno la modica cifra di € 84milioni circa al mese… la matematica non è un’opinione e uno più uno fa due. Ora, perché non approfittare dell’opportunità del Recovery Fund e costruire un parco giochi dalle dimensioni di quello francese o americano ? I costi verrebbero recuperati in pochi anni mentre nel giro di tre anni si riuscirebbe a realizzarlo e pur continuando a retribuire gli operai in quella sorta di cassa integrazione per 36 mesi, uscite che ci darebbero un costo complessivo di circa 600 milioni… cioè in termini numerici e matematici noi sosterremmo il costo di soli sei mesi ma in compenso si realizzerebbe il primo parco giochi e d’attrazione turistica del sud Italia di proporzioni affaristiche e di portata inimmaginabile, anche perché, ai milioni di turisti si legherebbero le tante opportunità del mare pugliese, lucano, campano e calabrese e delle loro cucine e tradizioni culturali. Giusto per darvi un’idea delle strutture presenti nel complesso turistico parigino, ci sono due parchi giochi a tema, Disneland Park e Walt Disnet Studios Park , un area con ristoranti, negozi, cinema che si identificano col nome di Disney Village, un campo da golf e una serie di hotel… e noi, perché non lo facciamo e smantelliamo il mostro fumante che inquina ed ammazza ? Ora si può, anche perché vendere l’acciaio è un po’ complicato in questo periodo e non so se negli anni  a seguire sarà possibile venderlo… Vi prego non ridete ancora sulla mia nuova proposta perché “i familiari delle vittime lo volevano già dal…1993” ma loro piangono ora… e non ridono !

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11122020…by… manliominicucci.myblog.it

 

 

Ritorna l’acciaio di Stato. Costa 100 milioni al mese

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Per l’ex Ilva società al 50% con Mittal. Oltre alla Cig ci accolliamo le perdite ormai enormi

Giuseppe Marino – Ven, 11/12/2020 –

Non è un ritorno alle partecipazioni statali, si affannano a giurare dal governo. E forse è vero: è qualcosa di più magmatico e indeterminato.

Dietro l’industria di Stato c’era un progetto chiaro che con il tempo ha rivelato i suoi limiti. L’intesa che a 25 anni dall’Italsider fa rinascere l’acciaio di Stato invece è un enorme punto interrogativo.

L’accordo di cui era attesa la sigla ieri notte è maturato all’ombra di una trattativa tra il governo, l’onnipresente Invitalia di Domenico Arcuri e i vertici di Arcelor Mittal. La prima certezza è che per il colosso franco-indiano dell’acciaio è una via d’uscita comoda alla palude di Taranto, tra revoca dello scudo penale e crisi dei mercati. Quando Mittal ha cominciato a minacciare licenziamenti, il governo è entrato in fibrillazione e agitando proclami di guerre giudiziarie ha in realtà garantito ai franco-indiani taglio dei costi, dimezzamento della penale per rottura del contratto di affitto dello stabilimento e l’ingresso dello Stato in società alla pari, accollandosi metà della perdita monstre: 100 milioni di euro al mese. Dopo Alitalia un altro buco nero mangiasoldi a carico delle casse pubbliche. Con la differenza che Ilva non era un’azienda decotta prima di essere scarnificata dalla guerra populistico-giudiziaria combattuta a Taranto. Ieri, con una coincidenza ad alto valore simbolico, è arrivata la seconda assoluzione, in appello, per le accuse di bancarotta a Fabio Riva, erede del gruppo che aveva rilevato l’ex Ilva dallo Stato.

La seconda certezza è che la nuova gestione a Taranto viene accolta con i fucili puntati, un isolamento che dura da 8 anni e che ha contribuito al declino dell’ex Ilva. Da una parte ci sono i sindacati estromessi dalla trattativa che stanno alla finestra premendo permantenere i 10.700 posti di lavoro oggi in buona parte sostituiti dalla cassa integrazione. C’è poi l’indotto stremato dalla trattativa infinita e dalla gestione dei franco-indiani: le associazioni dell’autotrasporto da ieri sono in stato di agitazione e hanno fatto sapere al governo che se non paga gli arretrati i camion che muovono le merci necessarie alla fabbrica si fermano.

Dall’altra parte c’è il fronte che vorrebbe rimpicciolire l’azienda, quello titillato soprattutto dal M5s ma anche dal Pd di Michele Emiliano. La firma dell’intesa è stata accolta con la simbolica riconsegna della fascia tricolore da parte del sindaco Rinaldo Melucci, punta di lancia dello schieramento trasversale di forze locali che dietro lo slogan della riconversione ecologica mirano a ridurre l’impianto a officina per un prodotto prelavorato altrove. L’azienda si ritaglierebbe così un ruolo insignificante nel mercato e in breve vedrebbe svanire metà dei posti di lavoro.

Ma anche la soluzione scelta dal governo è densa di incognite. Per Mittal, che si è sostanzialmente sfilata, l’acciaieria rappresenterà sempre più una possibile rivale per i suoi altri stabilimenti europei ma, almeno fino al 2022, quando lo Stato, con un nuovo aumento di capitale da 800 milioni dopo il primo da 400, salirà al 60% delle quote. Fino ad allora, le quote saranno alla pari, imbrigliando il gruppo in una gestione paritaria che per una società è foriera di potenziale paralisi decisionale.

Fondamentale ora vedere come sarà composto il cda: se troveranno spazio le forze che mirano a spegnere definitivamente Afo 5, l’altoforno che è il cuore della rinascita della fabbrica, meglio prepararsi a una nuova Bagnoli.

 

100 MILIONI AL MESE !ultima modifica: 2020-12-11T20:00:24+01:00da manlio22ldc
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